domenica 21 febbraio 2016

ROOM .


Com'è che io, a 9 anni, al massimo avrei potuto aspirare alla parte dell'alberello nella recita scolastica di fine anno e, invece, esistono dei talenti così?
Jacob Tremblay è a dir poco stupefacente in questo film che è un vero e proprio pugno nello stomaco. Brie Larson è pazzesca, merita assolutamente l'Oscar che riceverà, come l'avrebbe meritato anche il piccolo Jacob, di cui non mi spiego la mancata nomination. Doveva essere l'anno di Leo dall'inizio, quindi? GOMBLOTTO!!1!
I due attori sono alchimia pura, sono uno la spalla dell'altro, imprescindibili, come Jack e Ma', sono uno lo scalino successivo dell'altro nella composizione di una scala che li conduce senza dubbio nell'Olimpo della recitazione.
La pellicola è un adattamento cinematografico del romanzo "Stanza, letto, armadio, specchio" - best-seller ispirato al caso Fritzl, che sconvolse il mondo - 
di Emma Donoghue, che firma anche la sceneggiatura. Nasce così un film che è una piccola meraviglia: intenso, emozionante, commovente, scombussolante, dolce, sensibile.
Jack è nato e cresciuto in "Room", in una stanza. Da notare l'assenza dell'articolo, esattamente come nel termine inglese "home", che indica la propria casa. Room non è soltanto la casa di Jack, Room è il suo intero mondo, l'unico mondo realmente possibile.
Lui e la sua Ma' vivono in simbiosi nella stanza, fanno tutto insieme: il bagno, un po' di stretching, cucinano, leggono, guardano la tv, unica interfaccia con il mondo esterno; ma sua madre gli ha detto che quello che vede in tv non è reale, è finzione, per cui le persone sono solo immagini, gli animali non esistono, esiste solo un piccolo quadrato di cielo, che possono osservare grazie a un minuscolo lucernario serrato, posto al centro del soffitto della stanza, e uno spazio indefinito al di fuori di quelle quattro mura.
Ci sono anche delle regole in Room: Jack può fare il bagno in specifiche parti della giornata, può guardare la tv un tot numero di ore al giorno, non può avere tutto ciò che vorrebbe, ma deve accontentarsi di ciò che porta un uomo da fuori, non può star sveglio oltre una certa ora, ma deve accettare di nascondersi nell'armadio, perché ogni sera "Old Nick" irrompe nella stanza per stare con Ma'.
La scelta del regista di adottare il punto di vista del bambino, se da un lato priva lo spettatore della possibilità di conoscere i dettagli sulla prigionia della donna e di soddisfare, così, se vogliamo, anche il suo occhio sadico-curioso, dall'altro si rivela un passe-partout emozionale potentissimo.
Arriva il giorno del quinto compleanno di Jack e Ma' decide di rivelargli, molto sommariamente, il perché sono lì e che, al di fuori di quella stanza, esiste un mondo, fatto di cose e persone reali e che avrebbero dovuto far di tutto per raggiungerlo, uscendo da quella porta blindata di cui solo Old Nick conosceva il codice. Vediamo una Ma' inedita, con un guizzo di pazzia negli occhi, una Ma' giunta al limite di sopportazione, che non ce la fa più a fingere nulla, che perde di lucidità -lasciando prevalere l'istinto di sopravvivenza- quando intravede nel figlio l'unica possibilità di salvezza e decide di "usarlo" -e potenzialmente sacrificarlo- come ultimo colpo in canna. Decisione estrema, ma comprensibile, la sua, e drammatica è la messa in scena: da una parte Jack che la implora di rimandare a domani, che le dice che ha paura, che vuole restare lì e dall'altra lei, in piena frenesia, che quasi lo forza e lo obbliga a mettere in atto i suoi piani.
Fortunatamente, tutto va a buon fine. Bellissima la scena in cui Jack ammira per la prima volta l'immensità del cielo e quasi dimentica tutto per un istante. La prima immagine del mondo l'ha folgorato.
  


Una scena piena di tensione, quella della messa in atto del piano per la libertà ideato dalla mamma di Jack, che ci tiene col fiato sospeso fino all'ultimo, con la quale si chiude un climax perfetto, ma che arriva a metà film, spaccandolo in due. Inizia, difatti, un'altra fase del film, una fase innegabilmente sottotono rispetto alla precedente (così forte e magnetica), ma ugualmente interessante, che indaga le conseguenze e gli strascichi di un'esperienza traumatica e traumatizzante come quella che hanno vissuto i due protagonisti, ma sempre in maniera delicata, attraverso il filtro del bambino. Parallelamente assistiamo alla scoperta del mondo da parte di Jack, a tratti poetica, e su cui avrei leggermente calcato un po' di più la mano; troppo poche, per mio gusto, le scene all'aperto, segno che il regista sceglie di soffermarsi ad analizzare il microcosmo familiare, piuttosto che correre il rischio di perdersi in qualcosa di più grande di lui.
Jack più volte manifesta il desiderio di voler tornare nella sua Room, inizialmente per
paura, perché si sente esposto ai pericoli di qualcosa a lui sconosciuto, poi per nostalgia del passato, perché gli manca il vecchio rassicurante rapporto con la madre; inizia ad avvertire il disagio di Ma' che, ormai, nel mondo reale, non ha più motivo di fingere e che, quindi, inevitabilmente, gli trasmette tutto il suo dolore, inizia a percepire il distacco di lei, fino ad arrivare quasi a perderla. Infine, chiede alla madre ritrovata di ritornarci insieme un'ultima volta quasi a voler razionalizzare ed esorcizzare il passato, lasciandoselo finalmente alle spalle.
Perciò...
"ciao fiori, ciao sedia numero uno, ciao sedia numero due, ciao tavolo, ciao armadio, ciao lavandino, ciao ciao lucernario...mamma, saluta la stanza."

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